Informazioni aggiuntive
Alla festa dei cercatori d’oro (Cercatori d’oro??) a Vermogno (Biella) mi si avvicina con fare sospetto Nicolò Polidori.
Abbiamo scalato insieme un paio di volte in falesia e quel giorno, insieme a Carolina, abbiamo fatto una vietta nella Valle di Champorcher.
Tanto basta per accendere l’intesa: “danno un abbassamento delle temperature per un paio di giorni, poi bello stabile per 3: Andiamo al Pilone Centrale del Freney?”.
“Eh..certo che andiamo”.
Inizia la solita ricerca di relazioni, foto, informazioni, gossip da alpinisti, controllo delle previsioni meteo e scelta del materiale e della logistica migliori.
Nico prende ferie, io con la mia fortuna riesco a fare un giretto con amici sulla Cresta del Soldato per mettere nel corpo ancora un po’ di quota con qualcosa di tranquillo.
Cosi Giovedì 10 luglio ci troviamo dietro l’agrigelateria di Pont-Saint-Martin, luogo molto caro a tutti noi. Direzione: Val Veny.
Ogni volta che La roccia rossa della sud del Bianco compare nei finestrini della macchina la strada diventa un dettaglio secondario ed è sempre un mezzo miracolo arrivare al parcheggio senza centrare qualche albero, ma anche questa volta ne usciamo illesi.
Scarponi, zaino e ci avviamo verso il Rifugio Monzino che raggiungiamo dopo 2 ore. Breve pausa, informazioni dai rifugisti: nessuno ha fatto il pilone dopo le nevicate, ma una cordata è salita al Pic Eccles.
Troviamo infatti le loro tracce (grazie!) e li incrociamo mentre scendono.
Alle 16:00 siamo al bivacco e iniziamo a prepararci per la cena. Una roccia carica di neve che si scioglie al sole ci regala litri d’acqua, rendendo superfluo il Jetboil.
Così, in poco tempo, riempiamo le borracce e una pentola per la cena e la colazione.
Mangiamo qualcosa, diamo ultima occhiata fuori e alle 19:30 siamo sotto le coperte, insieme alle calze e agli scarponi bagnati.
Nel bivacco la temperatura è ideale e, prima di addormentarmi ripenso a quando ero stato qui per un’altra salita con Fabio e alla discussione avuta perché i bivacchi erano pieni e qualcuno ci diceva che dovevamo assolutamente scendere. Oggi siamo soli, meglio così: le discussioni in queste situazioni proprio non le capisco.
La sveglia suona e alle 2:30 usciamo dal bivacco, ci caliamo nel canale che ci porta al Colle Eccles, reperiamo la prima doppia per scendere nel bacino superiore del Freney e ci caliamo in un ambiente da sogno, sempre che i vostri sogni siano fatti di pareti di roccia, neve dura e crepacci. Decidiamo di raggiungere l’attacco traversando sopra la terminale e alle prime luci dell’alba siamo alla base del Pilone.
Attacchiamo la salita insieme a una cordata di "tori" spagnoli, partiti in giornata dalla Val Veny e decisi a raggiungere, sempre in giornata, la cima del Bianco e poi giù fino a Chamonix. Noi, ovviamente, speriamo che le loro tracce ci facilitino le cose e, tranquilli, procediamo con il nostro ritmo nella magia che solo scalare a queste quote ti regala, e con magia si intende, chiaramente, una leggera ipossia.
I tiri fino alla Chandelle sono un susseguirsi di lame e fessure, diedri e traversi alla ricerca della linea più logica che, con un po’ di occhio, si lascia scovare senza troppe difficoltà.
Le tracce della cordata davanti a noi ci confermano la scelta della linea di salita, ma ci meravigliamo di come in certi punti siano riusciti a passare senza toccare la neve, "magici", ci diciamo più volte.
Arriviamo alla base della Chandelle e qui inizia il vero stupore: i tiri lassù sono uno più bello dell’altro, fessure perfette e un camino repulsivo che, se fossero in falesia, sarebbero unti dalle ripetizioni.
Qui Nico sembra essere più veloce e va avanti lui, azzerando non senza difficoltà dei passi che ci fanno domandare come abbiano fatto Bonington e compagni a passare di lì senza l’attrezzatura moderna di cui disponiamo (apriamo il capitolo? 😬 Ma no, magari un'altra volta, al bar, con una bella birra, che lì si ragiona meglio).
Ultimi tiri più semplici e siamo in cima alla Chandelle! Scriviamo a casa che siamo fuori dalle difficoltà maggiori e stiamo bene e intanto vediamo l’elicottero del soccorso avvicinarsi e i due ragazzi spagnoli fermi, pronti a essere recuperati.
“What happened, guys?!” “A rockfall broke his leg!” Che sfiga!
Ci prepariamo mentre li portano via e scendiamo all’intaglio con il rumore dell’elicottero che si allontana.
Leggendo le relazioni sembra di essere ormai in cima, in realtà ci troviamo a doverci orientare su pendii carichi di neve da tracciare e roccia non proprio sana, ma ormai siamo in modalità aereo: il tempo non scorre più e davanti agli occhi passano i soliti gesti: sali, sosta, recupera la corda, "vai attaccati qui", "passami due friend", "ci vediamo su".
Così, dopo un tempo indefinito, vedo pochi metri sopra di me la cresta che porta al Monte Bianco di Courmayeur e poi in vetta alla cima francese.
Proprio in quel momento però sento qualcosa di strano sotto un piede, guardo giù: rampone rotto. Alè, Non ci facciamo mancare niente oggi! Sostina tattica, Nico mi raggiunge, vede la cresta e si illumina, parte, la neve è dura e c’è un po’ di ghiaccio, mette una vite ed esce in cresta. Lo raggiungo, ormai siamo fuori ma c’è ancora un po’ di strada da fare prima di potersi sdraiare!
La luna piena illumina a giorno le creste e soprattutto le tracce: avevamo visto almeno 3 cordate sulla Cresta del Brouillard.
Salendo, vediamo le frontali di chi sale dalla normale italiana e lo spettacolo è speciale.
Nico è parecchio stanco e io sono con un solo rampone, quindi procediamo con cautela fino alla cima del Monte Bianco che raggiungiamo poco prima delle 3:00.
“Cumbree!!”,ci abbracciamo, facciamo una foto e praticamente senza fermarci iniziamo la discesa che in poco più di un’ora ci porta alla tanto sognata Capanna Vallot. Qui entriamo mentre tanti escono e ci rintaniamo sotto le coperte che sanno di stadio.
Alle 8:00 ci svegliamo, mettiamo qualcosa nella pancia e iniziamo la lunghissima discesa dalla normale italiana. Siamo stanchi ma sereni e arriviamo senza fretta al Rifugio Gonella. Panino gourmet, Radler e intanto ci tiriamo un po’ insieme.
Piedi e muscoli doloranti insieme al sempiterno dubbio “ometto, non ometto?” ci accompagnano lungo il ghiacciaio del Miage fino alla strada della Val Veny e poi con un passo degno dei migliori pensionati fino alla macchina, che visione meravigliosa!
Ormai è fatta! Ci fermiamo a Courmayeur per comprare da mangiare in un minimarket dove vengo introdotto al grande gusto della Capricciosa e ci avviamo verso Biella dove ci lanciamo direttamente verso il ristorante! "Sto giro il sushi lo facciamo fallire”.
Arrivati al parcheggio, Aisling e Carolina ci salutano, poi guardano i miei piedi con disgusto, in effetti hanno un paio di dita un po’ gonfie: "Prima di tutto mangiamo!" e poi facciamo un giro al pronto soccorso.
“Principio di congelamento” mi dicono, molto bene!
Va beh, una settimanella di vacanza serviti e riveriti in ospedale non sembra una prospettiva così cupa, non dovrebbe essere nulla di grave, c’è solo da portare un po’ di pazienza e scrivere il racconto di questa salita letta su libri e blog e finalmente realizzata, tra l’altro nello stesso giorno in cui nel 1961 iniziava la tragedia di Bonatti, Oggioni, Gallieni, Mazeaud, Kohlmann, Guillaume e Vieille, una coincidenza che ci fa pensare, e mica poco.